L’alba della tecnocrazia
Per chi ancora non se ne fosse accorto, il mondo è cambiato. Per sempre. L’emergenza sanitaria in corso da oltre un anno ha segnato la fine delle nostre vecchie democrazie costituzionali e l’inizio di quello che il filosofo Giorgio Agamben definisce “il nuovo paradigma di biosicurezza”.
La normalità come la conoscevamo prima del Covid non tornerà più. È ora di abbandonare le vane illusioni e metterci definitivamente una pietra sopra. E se non volete credere a me, credete almeno al Massachussets Institute of Technology Review, che queste cose le diceva già lo scorso marzo: “Non torneremo alla normalità”, titolava la prestigiosa rivista, “Il distanziamento sociale rimarrà in vigore per molto più di qualche settimana. Sconvolgerà il nostro modo di vivere, sotto alcuni aspetti per sempre.” Quelle previsioni della prima ora si sono poi rivelate spaventosamente profetiche. Guardate ad esempio il grafico sulla curva epidemiologica del virus e ditemi se non è spiaccicato alla realtà:
Si dirà che ora abbiamo il vaccino, e che una volta immunizzato il popolo col siero portentoso l’ostinato virus sarà infine sconfitto. Ma attenzione a gridare vittoria troppo presto. Un op-ed pubblicato su Bloomberg la settimana scorsa chiedeva quanto efficaci siano davvero i vaccini in relazione alle varianti, e se non dovremmo piuttosto “prepararci ad una pandemia permanente” in cui “ci toccherà vaccinarci presumibilmente un paio di volte all’anno contro l’ultima variante in circolazione”, senza però “mai raggiungere l’immunità di gregge.”
E se anche il Covid dovesse scomparire, gli scienziati ci avvertono che siamo ormai entrati nell’“Era delle Pandemie”, e che al Covid ne seguiranno altre. E se anche gli scienziati si sbagliassero sulle pandemie, ci saranno comunque altre emergenze da affrontare, una su tutte l’emergenza climatica. Un report pubblicato su Nature lo scorso mese, ad esempio, sosteneva che “il mondo abbia bisogno dell’equivalente di un lockdown pandemico ogni due anni per raggiungere gli obiettivi di Parigi sulle emissioni di gas serra”. Insomma, di qualunque emergenza si tratti, possiamo star certi che non domiremo più sonni tranquilli.
L’instaurarsi di uno stato di emergenza permanente ha diversi effetti, spiega Agamben, primo fra tutti la sospensione dello stato di diritto e delle garanzie costituzionali. Una sospensione che rischia di essere definitiva, perchè se l’eccezione da eccezione diventa la regola, allora l’emergenza non è più emergenza, ma appunto una “nuova normalità”. Questo, come aveva già notato Walter Benjamin nel 1942, è uno dei sintomi tipici del passaggio da democrazia a totalitarismo. Agamben non è il solo ad essere allarmato dalla tendenza in atto: secondo diversi osservatori sui diritti civili la pandemia è stata usata dai governi di tutto il mondo come scusa per limitare le libertà personali e minare la democrazia, mentre alcuni accademici hanno sottolineato come essa abbia “innescato una deriva politica autoritaria”, provocando “abusi governativi ed amministrativi” ed accentrando il potere decisionale “fino alla sospensione di un efficace controllo democratico.”
Ma se di totalitarismo si tratta, di quale totalitarismo stiamo parlando? Se in passato lo stato d’emergenza veniva proclamato soprattutto in tempo di guerra (ancora oggi questo è l’unico caso previsto dalla costituzione italiana), le emergenze del ventunesimo secolo sembrano avere un carattere di tipo prevalentemente diverso. Ad attentare alla sicurezza generale sono oggi patogeni di origine (pseudo?) naturale, o cataclismi sempre naturali seppur provocati in larga parte proprio dalle scriteriate attività umane. Anche se in futuro dovessero scoppiare nuove guerre, difficilmente saranno combattute da grandi eserciti al fronte: più facile immaginare l’uso di armi batteriologiche, oppure climatiche, o al massimo atomiche. Ad ogni modo a farla da padrone non saranno più grandi uomini politici o generali, ma scienziati ed ingegneri. Meno giunte militari insomma, e più comitati tecnici-scientifici.
Il “nuovo paradigma di biosicurezza” infatti è un paradigma essenzialmente tecnocratico. La parola “tecnocrazia” deriva dal greco techne (tecnica) + kratos (potere) e significa letteralmente “potere della tecnica”. Il termine fu coniato nel 1919 dall’ingegnere americano W.H. Smyth e venne reso celebre negli anni trenta da un altro ingegnere americano, Howard Scott, con l’attuale significato di “sistema di governo basato su decisioni prese da tecnici”. Il movimento dei Tecnocrati, di cui Scott fu uno dei fautori, non prese il potere, ma l’ideologia tecnocratica continuò a diffondersi nella classe dirigente occidentale, tanto che il presidente Eisenhower, nel suo celebre messaggio di commiato del 1961, mise in guardia non solo dal “complesso industriale-militare”, ma anche “dal pericolo che le politiche di governo possano diventare ostaggio di una élite scientifico-tecnologica”.
Il processo di tecnicizzazione degli apparati amministrativi dello stato è quindi in corso da molto tempo, e la crisi attuale non è che l’ultima tappa. Michel Foucault (1976) faceva risalire questo processo al diciassettesimo secolo, quando lo sviluppo delle scienze positive permise per la prima volta di considerare le popolazioni umane da un punto di vista meramente biologico, e cioè come masse animali infuenzate dai processi vitali quali nascita, morte, riproduzione, malattia, etc. e come tali bisognose di essere gestite, regolate e controllate. Secondo Foucault questo diede il via allo sviluppo di tutta una serie di “tecniche volte ad ottenere la soggiogazione dei corpi ed il controllo delle popolazioni, segnando l’inizio di un epoca di “biopotere”.”
Oggi, secondo Agamben, questa “medicalizzazione della vita” che era andata crescendo a dismisura negli ultimi decenni (vedi anche Ivan Illich, 1976), ha raggiunto infine l’apoteosi: essa è diventata “permanente e onnipervasiva”, invadendo e stravolgendo ogni aspetto della vita umana. La medicina pare diventata una vera e propria religione, con tanto di dogmi (il “consenso scientifico”), sacerdoti (virologi e affini) e rituali (mascherine, sanificazione delle mani, saluti al gomito, etc.). Anche in questo caso i timori di Agamben non sono solo la stravaganza di un vecchio filosofo, come vorrebbe qualche critico astioso: nientemeno che Richard Horton, caporedattore di The Lancet, la più importante rivista medica al mondo, lo scorso dicembre ha parlato esplicitamente di “democrazie che diventano tecnocrazie”, “presa degli scienziati che va stringendosi attorno al collo dei governi” e “scienza che fin troppo facilmente viene corrotta in scientismo”.
Uno dei tratti più eclatanti dell’emergenza in corso è stato l’espansione senza precedenti degli apparati di sorveglianza. Secondo alcuni studiosi, questi nuovi sistemi (dalle app di tracciamento all’imminente passaporto vaccinale) sono da considerarsi a tutti gli effetti come forme di “biosorveglianza” che integrano tecniche di sorveglianza sanitaria a tecniche basate sui big data che fino ad oggi erano state riservate alle agenzie di sicurezza nazionale. Esemplare a riguardo è il caso di Israele, dove il governo ha immediatamente rinconvertito un database segreto che tracciava i movimenti di ogni cittadino per fini di anti-terrorismo ad un sistema di monitoraggio per contagi da Covid-19.
Anche qui il terreno era stato preparato con cura negli anni precedenti. Le popolazioni sono state abituate ad una graduale “digitalizzazione” e “algoritmizzazione” dell’esistenza, con le scienze informatiche ad assumere un ruolo sempre più decisivo “nell’influenzare, formare e guidare i nostri comportamenti”. Il professor Steffen Mau spiega come attraverso le innumerevoli app di auto-monitoraggio per la salute o lo sport “gli individui si siano abituati a cedere immense quantità di dati” personali, e a farlo divertendosi. “In altre parole, siamo stati addestrati a godere della nostra stessa datificazione”. Ebbene oggi, col pretesto della pandemia, questo tipo di misure volontarie sono di colpo diventate obbligatorie. L’intera infrastruttura tecno-digitale che ci circonda, dai telefoni cellulari agli elettrodomestici, dalle automobili alle telecamere smart alle antenne wifi, sarà d’ora in avanti integrata in un’unica, grande rete di sorveglianza. Questa forma di controllo sociale ubiquo ricorda molto il “panopticon” di Foucault (1975), dove la sensazione di essere sotto sorveglianza continua trasforma gli individui stessi in agenti della sorveglianza, e finisce per fargli rispettare le normative e convenzioni vigenti anche quando non sono effettivamente sorvegliati. La partecipazione attiva della popolazione negli apparati disciplinari dello stato li rende così ancora più efficaci e pervasivi.
È facile prevedere come i nuovi sistemi di sorveglianza resteranno operativi anche molto tempo dopo il termine della pandemia. Essi potranno servire per tenere sott’occhio la popolazione ed anticipare così l’emergere di pandemie future. E potranno anche essere utilizzati in altri campi, come ad esempio quello della prevenzione del crimine. Il nuovo paradigma di biosicurezza punta infatti sull’anticipazione dei problemi, attraverso innovative tecniche di previsione algoritmica rese possibili dall’applicazione dell’intelligenza artificiale. Il concetto di “precrimine”, fino ad oggi appannaggio dei racconti fantascientifici alla “Minority Report”, sembra sempre più destinato a diventare realtà.
Questi sviluppi non dovrebbero sorprenderci. Essi non sono che il risultato prevedibile di un lungo processo di tecnicizzazione e razionalizzazione della società iniziato secoli orsono. Il sociologo Jacques Ellul lo aveva capito chiaramente già nel lontano 1954: “Le tecniche di polizia, che vanno sviluppandosi assai rapidamente, hanno come sbocco inevitabile la trasformazione dell’intera società in un campo di concentramento … Per essere sicuri di arrestare i criminali, sarà necessario che tutti siano sorvegliati. Sarà necessario sapere esattamente le inclinazioni di ciascun cittadino, le sue relazioni, i suoi passatempi, etc. … La polizia dovrà adoprarsi al fine di anticipare e prevenire il crimine, affinché ogni intervento diventi superfluo. Questo risultato puó essere raggiunto in due modi: primo, attraverso una sorveglianza continua … secondo, creando una clima di conformismo sociale”.
E Zbigniew Brzezinski, una delle personalità più influenti nella politica USA del dopoguerra, gli faceva eco nel 1968:
“Presto sarà possibile stabilire un controllo quasi continuo su ogni cittadino e tenere files aggiornati che contengano perfino i dettagli più personali sulla salute e sul comportamento di ogni persona, oltre alle informazioni di base. Questi files saranno oggetto di tracciatura istantanea ad opera delle autorità.
I rapidi tempi di cambiamento incentiveranno inoltre soluzioni volte ad anticipare gli eventi e a pianificarli prima che accadano. Il potere sará nelle mani di coloro che controllano le informazioni, e che possono correlarle piú rapidamente. Le istituzioni attuali, adibite ad un tipo di gestione post-crisi, saranno progressivamente sostituite da istuzioni orientate ad una gestione pre-crisi, il cui compito sarà di individuare con anticipo le crisi emergenti e di sviluppare programmi per affrontarle.”
Ancora più inquietante è il fatto che nell’ultimo anno i cosiddetti governi democratici non si siano limitati ad espandere i sistemi di sorveglianza, ma abbiano anche intrapreso forme estreme di censura del dibattito pubblico e di manipolazione dell’informazione. Questa almeno è la conclusione raggiunta da uno studio pubblicato sul Journal of Human Rights. Gli autori parlano di una pericolosa tendenza alla “criminalizzazione della misinformazione”, con decine di paesi che hanno approvato misure volte a punire penalmente la pubblicazione di notizie false, molti dei quali col carcere. Di rimando, un altro studio pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health, ha trovato che durante l’emergenza Covid-19 gli stati abbiano collaborato con i mass media nel creare deliberatamente un clima di panico generalizzato, provocando ansia e “scatenando fenomeni di isteria collettiva”.
L’uso massiccio delle propaganda, spiegava Ellul, è incompatibile con la democrazia. Essa “distrugge la facoltá di discernimento del cittadino. In una vera democrazia, tutto si basa sulla critica consapevole e sul libero arbitrio … La propaganda invece tende sempre al totalitarismo.” La capacità critica degli individui viene soppressa e sostituita da una irremovibile convinzione collettiva di essere nel giusto. Questa convinzione diventa sacra, tanto che le persone perdono la capacità di dubitarne e anche solo discutere di alcuni argomenti diventa tabù. Chi osa farlo viene considerato alla stregua di un traditore della patria. Che oggi siamo giunti a quel punto lo dimostrano gli appellativi rivolti ai no-vax da parte di una nutrita schiera di personaggi pubblici: si va dai “disertori”, ai “terroristi” nemici dello stato, all’equivalente di quei soldati “imboscati … che a suo tempo … venivano fucilati sul posto”.
Ellul notava infine un’incompatibilità radicale tra l’essere umano e la tecnica. Essa infatti, con la sua pretesa di razionalizzare ogni campo dove sia applicata, tende a ridurre ogni cosa alla sola dimensione logica, escludendo via via ogni spontaneità e creatività personale per sostituirla con operazioni standardizzate. Questo porta necessariamente ad una progressiva spersonalizzazione e disumanizzazione del mondo. Non solo, dice Ellul:
“La tecnica richiede prevedibilità e, per di più, esattezza nella previsione. È necessario quindi che la tecnica prevalga sull’essere umano. Per la tecnica, questa è una questione di vita o di morte. La tecnica deve ridurre l’uomo ad un animale tecnico, il re degli schiavi della tecnica. […] [Essa] persegue il completo rifacimento della vita e della struttura del vivente perché sono pieni di imperfezioni. Poiché l’ereditarietà è piena di imprevisti, la tecnica vuole sopprimerla in modo da creare il tipo di uomo necessario al suo ideale di società. […] Le tecniche applicate all’uomo dovranno quindi risultare nel completo condizionamento del comportamento umano. Esse dovrannno assimilare l’uomo nel complesso “uomo-macchina”, la formula del futuro. Nell’accoppiamento tra uomo e macchina, una entità radicalmente nuova prenderà la luce.”
In queste parole troviamo incapsulata tutta l’ideologia eugenetica e transumanista. A detta di molti, il transumanesimo può definirsi come la “religione di Silicon Valley”, e quindi come il culto esclusivo di quella ristretta casta di tecnocrati che conoscono i segreti della tecnica e sanno dove andrà a finire. Uno dei suoi profeti, il director of Engineering di Google Ray Kurzweil, ha da tempo pronosticato che nel giro di un paio di decenni l’uomo biologico si fonderà con le macchine (nanotecnologia ed intelligenza artificiale) e diventerà un ibrido umano-robot. E a chi si ostinasse a considerare queste idee alla stregua di un delirio fantascientifico, non mi resta che ripetere le parole di Paola Pisano, già ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale sotto il governo Conte: “Saranno i robot a salvare l’Uomo … ci dobbiamo augurare il nuovo ibrido “uomo-macchina”, senza alcuna paura … Il mondo si trasforma siamo pronti ad osare?”
Insomma, il futuro è tracciato. Su questo i profeti della tecnocrazia sono tutti d’accordo: la convergenza tra problematiche globali (sovrappopolazione, sovraconsumo, crisi ecologica) e la spinta intrinseca del progresso tecnico risulterà inevitabilmente nella creazione di una dittatura scientifica mondiale. Secondo Brzezinski (1970) “tale società sarebbe dominata da una élite la cui pretesa di potere politico poggerebbe su di un presunto superiore know-how scientifico. Svincolata dai limiti imposti dai tradizionali valori liberali, questa élite non esiterebbe a raggiungere i suoi obiettivi politici utilizzando le tecniche più moderne per influenzare il comportamento dell’opinione pubblica e tenere la società sotto stretta sorveglianza e controllo.” Nelle parole di Aldous Huxley, “ il ventunesimo secolo … sarà l’era dei Controllori Mondiali, del sistema scientifico delle caste e del Mondo Nuovo.” Sotto una tale “dittatura scientifica … la maggior parte degli uomini e delle donne crescerà nell’amore della servitù e non sognerà nemmeno di ribellarsi.”
Il Mondo Nuovo è quindi alle porte. Non resta altro da fare che uniformarci o preparare la resistenza. Ma prima di esaminare più da vicino le opzioni sul tavolo, nel prossimo capitolo andremo a ripercorrere la storia dell’ideologia tecnocratica fin dalle origini, e a scoprire, dietro alla sua faccia razionale, un’altra faccia, dalle tinte più fosche e misteriose.